POLONIA: MASSICCIA INTERRUZIONE DEI PAGAMENTI ELETTRONICI

13 settembre 2025 – Ecco un aggiornamento su cosa è successo oggi in Polonia con il grande blackout dei pagamenti elettronici — utile anche come case study per la resilienza urbana.

Cosa è successo

  • È scoppiata una massiccia interruzione dei pagamenti elettronici: le segnalazioni arrivavano da tutta la Polonia, dagli utenti di supermercati, stazioni di servizio, negozi.
  • Blocco transazioni con carte bancarie (inclusi Visa, Mastercard) né con il sistema BLIK.
  • L’interruzione sembra sia dovuta a problemi nei terminali di pagamento e nel sistema dell’operatore eService.

Quando è accaduto

  • Le prime segnalazioni gravi sono emerse intorno a mezzogiorno (ca. 12:00), con un picco di problemi segnalati su Downdetector attorno alle 13:30-14:00.
  • Verso le 14-14:30, l’operatore ha comunicato che la maggior parte delle funzioni era tornata operativa.

Cosa dicono le fonti ufficiali

  • eService ha confermato il guasto, che ha riguardato i servizi di pagamenti cashless, ed ha dichiarato che il team tecnico ha lavorato intensamente per ristabilire il servizio.
  • Il Ministero della Digitalizzazione ha detto che al momento non ci sono prove che sia stato un attacco esterno, ma la causa esatta è ancora in via di accertamento.

Impatto concreto

  • Clienti rimasti senza la possibilità di usare le carte, code lunghe nei negozi, alcuni acquisti rimandati o pagati in contanti.
  • Coinvolti molti settori: supermercati (Lidl, Biedronka), stazioni di servizio, pagamenti con POS, con BLIK.

Lezioni per la resilienza urbana

Questo episodio è un promemoria utile che anche l’infrastruttura “invisibile” — sistemi di pagamento digitale — può diventare un punto di rottura in situazioni normali.

Ecco qualche riflessione:

  • Sempre una alternativa pronta: portare contanti di emergenza, anche se non è la norma.
  • Ridondanza nei mezzi di pagamento: avere più carte, app, soluzioni offline può aiutare.
  • Comunicazione rapida: operatori, banche, autorità devono informare velocemente per ridurre panico e disagi.
  • Monitoraggio: servizi come Downdetector funzionano come sistema di allarme sociale: valutare segnalazioni anonime può aiutare a capire scala e ubicazione dei problemi.
  • Piani di crisi aziendali/locali: negozi, enti locali, supermercati dovrebbero sapere come reagire (es. accettare contanti, comunicare ai clienti) in caso di blackout digitale.

QUANDO IL SILENZIO DIVENTA UN’EMERGENZA

Immagina una sera qualunque in città. Sei abituato al sottofondo continuo: clacson lontani, motorini che sfrecciano, condizionatori che ronzano, qualcuno che parla al telefono sotto casa. Non ci fai più caso, eppure quel rumore costante è parte del tessuto urbano, un “mantello sonoro” che rassicura.

Ora immagina che, improvvisamente, tutto si spenga. Nessun motore, nessuna ventola, nessuna voce. Un silenzio innaturale cala tra i palazzi. È notte, ma è soprattutto silenzio.

La città non è fatta per il silenzio

La nostra mente, abituata a un rumore di fondo continuo, percepisce l’assenza di suono come un’anomalia.

  • Il cuore accelera.
  • L’attenzione si acuisce.
  • Ogni minimo scricchiolio diventa un allarme.

Questo non è cinema: è il cervello che cerca di colmare un vuoto sensoriale improvviso, leggendo il silenzio come potenziale pericolo.

Psicologia del rumore urbano

Vivendo in città, il nostro sistema nervoso si abitua a un livello sonoro di base che diventa lo “stato normale”. Se manca, il cervello interpreta il contesto come incerto, talvolta minaccioso. È un meccanismo primordiale: nell’antichità, il silenzio poteva significare che un predatore era in agguato.

Oggi, in chiave urbana, un blackout totale o uno stop improvviso del traffico crea lo stesso effetto: un silenzio che inquieta, che amplifica le emozioni e può portare a panico immotivato.

Effetti concreti sulla popolazione

  • Ansia diffusa: un blackout silenzioso in città non genera solo buio, ma una tensione psicologica collettiva.
  • Allucinazioni acustiche: alcune persone riferiscono di sentire suoni inesistenti, proprio perché il cervello “riempie” il vuoto.
  • Perdita di orientamento: in assenza di rumore, anche i luoghi familiari sembrano alieni.

Come prepararsi al silenzio urbano

Il prepping cittadino non è solo avere torce e scorte, ma anche allenare la mente. Alcune strategie:

  • Simulare brevi silenzi: provare a stare in casa senza dispositivi accesi per percepire il disagio e imparare a gestirlo.
  • Gestire la calma familiare: i bambini e gli anziani sono più sensibili al silenzio improvviso, serve una voce guida rassicurante.
  • Riconoscere i segnali reali: distinguere un rumore utile (come un allarme o una sirena lontana) da quelli immaginati.

Focus

Il silenzio urbano improvviso non è un dettaglio, è un evento che può destabilizzare chiunque. Prepararsi significa anche questo: imparare che la nostra mente ha bisogno di allenamento tanto quanto il nostro corpo o i nostri strumenti. La vera resilienza cittadina nasce dal saper restare lucidi anche quando la città smette di fare rumore.

RESILIENZA URBANA NEI SDG LOCALI: UN IMPEGNO STRUTTURALE PER IL FUTURO DELLE CITTÀ

Cammini per il tuo quartiere e potresti non accorgertene, ma sotto la superficie delle decisioni municipali si stanno muovendo fili sottili che intrecciano il futuro della città. Non si tratta solo di interventi immediati dopo una crisi, ma di pianificazione integrata: rendere la resilienza urbana parte degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) locali.
Non più un piano emergenziale da tirare fuori in caso di disastro, ma un tassello permanente della strategia di crescita della comunità.

Dal concetto di emergenza alla struttura

Fino a pochi anni fa la resilienza urbana era vista come una risposta a catastrofi: alluvioni, blackout, eventi estremi. Oggi, invece, la tendenza – confermata da ricerche del 2025 e da enti come ISPRA e Resilient Cities Network – è chiara:

  • La resilienza entra nei piani regolatori urbani.
  • Diventa parte dei bilanci comunali e delle politiche energetiche.
  • Viene monitorata come indicatore SDG accanto a istruzione, salute e ambiente.

Cosa significa in concreto

Integrare la resilienza nei SDG locali vuol dire:

  • Prevedere reti di quartiere capaci di attivarsi in emergenza.
  • Potenziare infrastrutture critiche (acqua, energia, trasporti) con logiche di ridondanza.
  • Sostenere progetti comunitari come orti urbani, spazi condivisi, centri civici multifunzione.
  • Usare indicatori misurabili: non solo “siamo più resilienti”, ma dati reali su tempi di risposta, accesso ai servizi, coinvolgimento dei cittadini.

La voce dei cittadini

Le città più avanzate non pianificano da sole. Coinvolgono attivamente i residenti:

  • Forum urbani per raccogliere idee.
  • App di segnalazione per monitorare in tempo reale criticità ambientali.
  • Esercitazioni partecipative dove quartieri e scuole si allenano a reagire.

In questo senso, la resilienza diventa parte della vita quotidiana, non un concetto astratto da esperti.

Esempio reale

Secondo i dati condivisi da media.planum.bedita.net, città come Rotterdam e Barcellona hanno già avviato progetti di “resilience mainstreaming”: la resilienza non è un capitolo a parte, ma un principio trasversale che guida mobilità, urbanistica, edilizia pubblica.
Così, una nuova pista ciclabile non è solo sostenibile: è anche parte di una rete di evacuazione sicura.

Perché conta per il prepping cittadino

Per chi vive la città ogni giorno, significa sapere che:

  • Non ci si prepara solo individualmente, ma come comunità strutturata.
  • La resilienza urbana diventa visibile: non solo parole, ma spazi, servizi, strumenti che tutti possono usare.
  • Ogni famiglia trova un contesto già predisposto a supportarla.

Focus

Integrare la resilienza urbana nei SDG locali vuol dire trasformarla da intervento straordinario a pratica ordinaria. Non più emergenza, ma struttura. Non più “se” servirà, ma “quando” servirà.
Il prepping cittadino, in questo contesto, smette di essere visto come gesto individuale e diventa parte di un patto collettivo che rende le città capaci di affrontare le sfide del futuro.

APP WEB SENZA INSTALLAZIONE: RESILIENZA DA DISPOSITIVO A DISPOSITIVO (D2D)

Sì hai capito bene: un’app web che non richiede installazione, quindi accessibile tramite browser da qualunque dispositivo (smartphone, tablet, PC), e che in caso di emergenza può cambiare modalità di comunicazione, passando dalla rete internet tradizionale alla connessione diretta device-to-device (D2D).

In pratica:

App Web (PWA / WebApp)

  • È sviluppata come Progressive Web App (PWA), quindi gira direttamente nel browser.
  • Non serve installarla dallo store, non occupa memoria e funziona anche su dispositivi datati.
  • Può salvare localmente (cache) le informazioni minime per operare offline.

Funzionamento normale (con internet)

  • L’app sfrutta la connessione classica (WiFi, 4G/5G) per scambiare dati con i server cittadini o con il lampione intelligente.
  • I cittadini ricevono notifiche, mappe, messaggi di allerta.

Funzionamento in emergenza (senza internet)

  • Quando cade la connessione, l’app passa automaticamente alla modalità D2D:
    • Usa Bluetooth Low Energy (BLE), WiFi Direct o protocolli mesh per collegarsi ai dispositivi vicini.
    • Ogni telefono diventa un piccolo nodo della rete, capace di inoltrare messaggi agli altri.
    • I lampioni intelligenti agiscono da hub mesh, amplificando la portata della rete.

Cosa permette in concreto

  • Scambio di messaggi di testo o vocali brevi tra cittadini vicini.
  • Ricezione di allerta prioritarie dai soccorritori (tramite canale dedicato).
  • Condivisione di posizione o stato (es. “sto bene”, “ho bisogno di aiuto”).

Focus

In poche parole: è una piattaforma invisibile e democratica. Funziona come una normale app in tempi normali, ma in emergenza si trasforma in una rete decentralizzata di cittadini, senza bisogno di infrastruttura centrale.

LAMPIONI INTELLIGENTI: IL FUTURO DELLA RESILIENZA URBANA

Cammini per strada, è sera. I lampioni accesi scandiscono il ritmo della città: luce bianca sull’asfalto, voci che rimbalzano nei vicoli, traffico che sfuma in lontananza. Tutto sembra normale. Ma cosa accadrebbe se, all’improvviso, un blackout spegnesse ogni cosa? Se i telefoni smettessero di funzionare e la rete internet svanisse?
In quel momento, proprio quei lampioni potrebbero diventare i tuoi migliori alleati.

Dal pericolo alla soluzione

Oggi più di quattro miliardi di persone vivono in aree urbane. Ogni disastro naturale o attacco terroristico colpisce quindi un numero sempre più grande di cittadini. Le infrastrutture digitali sono vitali, ma fragili: bastano pochi minuti di interruzione per creare caos.

La risposta non è guardare altrove, ma valorizzare ciò che già esiste nello spazio urbano … esempio: i lampioni.

Lampioni che comunicano

Non solo luce, ma veri e propri nodi intelligenti.
Un lampione resiliente può ospitare:

  • Sensori ambientali: per rilevare incendi, allagamenti o anomalie nell’aria.
  • Hotspot WiFi pubblico: in grado di mantenere connessioni di emergenza anche senza internet tradizionale.
  • Reti mesh: ogni lampione dialoga con gli altri creando una rete autonoma.
  • Canale riservato ai soccorritori: uno spazio sicuro per comunicazioni critiche.
  • App web senza installazione: accessibile a tutti, capace di funzionare anche da dispositivo a dispositivo (D2D).

Prepping cittadino in azione

Per chi vive in città, questo significa:

  • Ridondanza: una seconda possibilità quando le infrastrutture crollano.
  • Inclusione: chiunque con uno smartphone può accedere a informazioni vitali.
  • Adattabilità: lo stesso strumento che illumina la sera diventa rete di salvezza in emergenza.
  • Partecipazione: i cittadini diventano parte attiva, non semplici spettatori.

Una scena reale

Un temporale improvviso devasta la rete elettrica. I telefoni smettono di funzionare, i palazzi restano al buio. Ma in una piazza, i lampioni intelligenti si accendono con energia autonoma e attivano la rete mesh. I residenti si collegano, condividono informazioni sul livello dell’acqua, ricevono messaggi dei soccorritori.
Quel luogo diventa rifugio, centro di comunicazione, punto di incontro. La piazza non è più solo un passaggio: è resilienza urbana viva.

Dalla teoria alla pratica

Dal 2019, molte città hanno integrato il Wi-Fi pubblico nei lampioni come parte delle loro infrastrutture smart city, spesso utilizzando programmi di finanziamento europei e nazionali.

Alcuni esempi:

  • In Italia 224 comuni, oltre i 2.800 comuni europei, hanno ricevuto fondi dal programma UE WiFi4EU per installare Wi-Fi gratuito in spazi pubblici, inclusi lampioni, parchi e piazze. Le regioni più attive sono Lombardia, Campania e Piemonte.
  • La città di Monza ha implementato un sistema di Wi-Fi pubblico con 35 access point distribuiti capillarmente in vari luoghi come centri civici e biblioteche, parte di un progetto più ampio di smart city e sicurezza.
  • Milano è una delle città europee con la maggiore capillarità di hotspot Wi-Fi pubblico, con 597 hotspot e una media di 2.356 abitanti serviti per hotspot. Anche Barcellona, Monaco e Berlino hanno reti Wi-Fi pubbliche strutturate e integrate con i servizi urbani.
  • Alcuni comuni come Bitonto (Italia) hanno esteso la copertura Wi-Fi gratuita in diverse piazze utilizzando hotspot integrati anche nei lampioni o aree simili.

Queste iniziative dimostrano che dal 2019 il Wi-Fi pubblico nei lampioni è stato ampiamente adottato in diverse città, in contesti di riqualificazione urbana e smart city, supportato da programmi comunitari e accordi con utility locali.

Focus

Il prepping cittadino non si limita a torce e scorte alimentari: significa anche conoscere e sfruttare le tecnologie già presenti attorno a noi.
Un lampione può sembrare solo una luce sul marciapiede. In realtà, può essere il primo baluardo contro il buio dell’imprevisto.

PREPPING CITTADINO: QUANDO IL PERICOLO ARRIVA DALLA TECNOLOGIA

Cammini sotto la pioggia, il vento ti sferza in volto e ti stringi nel giubbotto impermeabile. È un’immagine tipica quando si parla di “protezione”: pensiamo subito a meteo avverso, blackout o traffico paralizzato. Ma c’è un altro potenziale pericolo, invisibile e altrettanto concreto, che oggi abita le nostre città: la tecnologia che ci circonda. Non parliamo di fantascienza, ma di fatti recenti.

Videocamere che diventano finestre sulla tua vita

A Treviso è stato scoperto un sito web liberamente accessibile dai motori di ricerca, con migliaia di filmati rubati da telecamere di sorveglianza. Non solo appartamenti privati, ma anche centri estetici e studi medici. Migliaia di occhi digitali hackerati, trasformati in un grande spettacolo a pagamento.

Secondo l’analisi della società di cybersecurity Yarix, la piattaforma è attiva almeno da dicembre 2024 e raccoglie oltre 2.000 videocamere compromesse in tutto il mondo. Un utente può sfogliare gli estratti gratuiti oppure comprare l’accesso diretto, con prezzi che vanno da 20 a 575 dollari. I pagamenti? Su Telegram, attraverso un bot che funziona come un supermercato dell’intimità.

L’archivio che funziona come un motore di ricerca

Il portale cataloga i video con tag che descrivono luoghi, stanze e persino attività delle persone riprese. Non serve essere hacker: basta digitare quello che si vuole vedere, come fosse una normale piattaforma video. In Italia risultano già almeno 150 filmati, un numero in costante crescita.

Domini lontani, giustificazioni vicine allo zero

Il sito è registrato alle Isole Tonga, una scelta che mette i gestori al riparo da controlli stringenti e da accordi di cooperazione internazionale. Ufficialmente dichiarano di voler “sensibilizzare” sui rischi delle falle digitali. Ma la realtà è un business morboso, pronto a monetizzare con abbonamenti e vendite.

Prepping cittadino non è solo zaini e torce

Qui entra in gioco il concetto di prepping cittadino. Prepararsi non significa soltanto avere la torcia carica in caso di blackout o sapere la strada alternativa durante un’alluvione. Significa anche:

  • proteggere la propria casa digitale (password robuste, aggiornamenti costanti, router sicuro);
  • non lasciare dispositivi connessi con impostazioni predefinite;
  • sapere che telecamere e smart device, se mal gestiti, sono come finestre spalancate sul salotto di casa.

Le indagini e il futuro

La polizia Postale sta verificando l’origine dei contenuti e se ci siano anche video costruiti ad hoc. Nel frattempo, Yarix continua a monitorare la piattaforma. Ma per i cittadini, la vera lezione è un’altra: la resilienza urbana oggi significa difendersi non solo dalla natura, ma anche dalla tecnologia che portiamo dentro le nostre mura domestiche.

Focus

Il prepping cittadino non è paranoia: è consapevolezza. Una famiglia che aggiorna il proprio router o cambia le password di default delle telecamere è tanto resiliente quanto chi prepara scorte d’acqua o un kit per i blackout. Le emergenze non arrivano solo dal cielo: a volte viaggiano in silenzio attraverso un cavo di rete.

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COMUNICAZIONI FIDATE: POC, PMR, CB IN EMERGENZA URBANA

Immagina: la città è al buio, la rete va e viene, e tu stringi in mano il tuo strumento di comunicazione. Non importa che sia uno smartphone, una PoC Radio o un portatile PMR/CB: quello che conta davvero è chi c’è dall’altra parte.

Ecco il punto che spesso sfugge: la resilienza non è questione di mezzo, ma di comunità e fiducia.

PoC: perché funziona nella maggioranza dei casi

Chi critica le PoC dice: “Se cade Internet, muoiono anche loro.” Vero, ma parliamo chiaro: nella stragrande maggioranza degli scenari urbani – blackout locali, alluvioni, traffico bloccato – Internet resta funzionante. E quando funziona, la PoC è imbattibile:

  • garantisce copertura ovunque ci sia rete dati, senza dipendere dal raggio limitato classico di un PMR/CB;
  • offre qualità audio stabile;
  • permette canali privati e centralizzati, evitando la dispersione tipica delle radio libere.

La PoC, in emergenza cittadina, ti dà una certezza: puoi parlare subito con chi già conosci e di cui ti fidi.

Il problema delle radio “aperte” (PMR, CB, PONTI RADIOAMATORIALI)

Se non sei inserito in una community consolidata e fidata, accendere un PMR o un CB è come urlare da un balcone sperando che ti risponda la persona giusta. Potresti trovare:

  • un volontario disposto ad aiutarti,
  • qualcuno che non capisce la situazione e crea confusione,
  • o peggio, un malintenzionato che approfitta delle informazioni che stai trasmettendo.

È qui che nasce il paradosso: il mezzo può anche funzionare senza Internet, ma non ti protegge dalla variabile umana.

La questione privacy e sicurezza

C’è un aspetto che viene spesso sottovalutato. Nei sistemi aperti come PMR, CB o radioamatoriali:

  • chiunque può ascoltare le tue trasmissioni;
  • i dettagli che condividi (luoghi, risorse, intenzioni) diventano un’informazione pubblica;
  • in uno scenario emergenziale, persone disperate o malintenzionate possono sfruttare questi dati contro di te.

Esempio concreto: se comunichi in chiaro che hai acqua, viveri o un generatore, potresti attirare chi, per sopravvivere, decide di prenderli con la forza.

In emergenza, ogni dettaglio che condividi in chiaro può trasformarsi in un boomerang:

  • “Ho acqua e viveri” → segnali a sconosciuti che sei una risorsa.
  • “Siamo bloccati in via…” → dai coordinate a chi potrebbe approfittarne.
  • “Ho un generatore” → inviti, involontariamente, chi potrebbe volerlo a ogni costo.

Le radio libere non proteggono le informazioni. Al contrario, in contesti instabili, possono esporre te e la tua famiglia a rischi maggiori.

Con la PoC, invece, parli in ambienti protetti, a cui accede solo chi fa parte della tua rete. Non è infallibile, ma riduce drasticamente le vulnerabilità.

La tecnologia PoC abbassa i pericoli a un livello gestibile.

Fiducia prima della tecnologia

Il vero discrimine non è con o senza Internet, ma con o senza interlocutore fidato.

  • Se dall’altra parte c’è qualcuno della tua rete – un familiare, un amico, un gruppo organizzato – puoi contare su di lui.
  • Se stai trasmettendo “a caso” su frequenze libere, stai lasciando la tua sicurezza al caso.

Focus

Il prepping cittadino non si basa sul collezionare strumenti diversi, ma costruire reti fidate. La PoC funziona perché mette al centro la community, non il mezzo.

  • Internet cade? Bene, hai sempre piani B (PMR, CB, PONTI RADIOAMATORIALI) con le dovute precauzioni.
  • Internet funziona? La PoC ti dà la comunicazione più rapida, sicura e organizzata.
  • Se dall’altra parte c’è un interlocutore fidato, la comunicazione è resiliente.
  • Se stai trasmettendo in chiaro a sconosciuti, stai giocando con la tua sicurezza.

La resilienza nasce dal sapere con chi parli, non solo da cosa usi per parlare.

Cos’è lo storm naming

Cammini per strada in un giorno apparentemente normale, ma intorno a te il vento si alza, i cartelli oscillano e le prime gocce pesanti battono sull’asfalto. Poi senti una notizia alla radio: “Sta arrivando la tempesta Adrian”. Quel nome resta impresso, ti fa drizzare le antenne, ti fa capire che non è un acquazzone qualunque. È esattamente questo lo scopo dello storm naming, la pratica di dare un nome alle tempeste per renderle più riconoscibili e farci reagire con maggiore attenzione.

Lo storm naming è nato ufficialmente in Europa nel 2015 su iniziativa di EuMetNet, la rete dei servizi meteorologici europei, sull’esempio degli Stati Uniti che da decenni battezzano gli uragani.
Dal 2021 anche l’Italia aderisce, entrando nel gruppo del Mediterraneo centrale insieme a Slovenia, Croazia, Macedonia del Nord, Montenegro e Malta.

Perché dare un nome alle tempeste

Non è un vezzo linguistico, ma una strategia di comunicazione.
Secondo l’Aeronautica Militare:

  • una denominazione univoca e ufficiale migliora la comunicazione di massa;
  • aumenta la consapevolezza preventiva prima che l’evento colpisca;
  • rende i cittadini più attenti alle allerte meteo e più predisposti a seguire le raccomandazioni di sicurezza.

In altre parole: quando una tempesta ha un nome, la percepiamo come una minaccia concreta.

Chi decide il nome

Non basta un po’ di vento forte per “battezzare” una tempesta.
Per ricevere un nome, ci devono essere delle condizioni precise:

  • nessun altro Paese europeo deve averla già nominata;
  • una nazione deve essere la prima nazione colpita;
  • deve trattarsi di un’area ciclonica con diametro tra qualche centinaio e migliaio di chilometri;
  • la velocità del vento deve rientrare nei livelli di allerta arancione o rossa di Meteoalarm.

È fondamentale il coordinamento europeo: immagina il caos se lo stesso ciclone venisse chiamato in modi diversi da ogni nazione.

Un caso emblematico: Vaia o Adrian?

Nel 2018 il Nordest italiano fu travolto da una tempesta che noi ricordiamo come Vaia. Ma in realtà, pochi giorni prima, in Francia era stata nominata Adrian.
Ecco il problema: la maggior parte delle perturbazioni che raggiungono l’Italia arrivano dall’Atlantico, quindi spesso il nome è deciso dai gruppi europei occidentali (Francia, Spagna, Portogallo, Belgio). Solo in casi di ciclogenesi nate nel Golfo di Genova ha più senso che sia l’Italia a “battezzare”.

Perché non gli anticicloni?

I cicloni hanno un ciclo di nascita, crescita e decadimento. Sono eventi temporanei che lasciano il segno.
Gli anticicloni invece sono strutture persistenti: l’Anticiclone delle Azzorre o l’Anticiclone africano restano sempre quelli, anche se si spostano. Non avrebbe senso rinominarli ogni volta.

Come vengono scelti i nomi

I criteri sono semplici:

  • ordine alfabetico,
  • alternanza di genere maschile/femminile.

In altri Paesi si è trasformata in una vera e propria partecipazione collettiva: nel Regno Unito, ad esempio, i nomi vengono scelti tra decine di migliaia di proposte del pubblico. C’è chi ha suggerito Dave in omaggio al marito che “russa più forte di qualsiasi tempesta”.

Focus

Lo storm naming non è folklore meteorologico. È uno strumento concreto di prepping cittadino, perché trasforma un fenomeno complesso in qualcosa di immediato e comprensibile.
Sapere che arriva “la tempesta Alessio” o “la tempesta Amy” può sembrare un dettaglio, ma in realtà è un meccanismo che salva vite: riconoscere la minaccia, condividerla e prepararsi insieme diventa più semplice quando quella minaccia ha un nome.

Linee Guida

La pubblicazione ufficiale del portale PreppingCittadino.it era inizialmente prevista per la fine del 2025. Tuttavia, le recenti vicissitudini — in particolare le gravi emergenze meteo che hanno colpito il Nord Italia ad agosto, insieme a problemi di traffico, blackout e altre criticità — ci hanno costretto ad anticipare i tempi.

Per motivi di forza maggiore abbiamo deciso di rendere disponibile online il portale, seppur in una versione ancora incompleta. I contenuti verranno aggiornati e ampliati progressivamente, ma abbiamo ritenuto fondamentale garantire subito un punto di riferimento affidabile per la community.

Al momento sono fruibili 4 delle 10 sezioni previste + area BLOG per news & contenuti speciali. Il resto verrà gradualmente attivato nei prossimi mesi.

Abbiamo scelto di strutturare PreppingCittadino.it con un obiettivo chiaro: renderlo il più leggero e accessibile possibile.
In situazioni di emergenza, quando la connessione internet è scarsa o instabile, ciò che conta davvero è poter accedere subito alle informazioni.

Per questo:

  • la grafica è stata ridotta all’essenziale;
  • immagini e foto saranno inserite solo quando realmente necessarie;
  • ogni articolo è conciso, diretto e privo di fronzoli.

Vogliamo che chiunque, anche con banda minima, possa navigare il portale senza ostacoli e trovare subito ciò che serve.
Le sezioni tematiche sono state pensate per offrire un percorso logico e veloce, così da andare dritti al punto senza disperdere energie preziose.